Sabato 23 marzo ho avuto l’onore di presentare il libro di Vincenza Dalmasso “Diario bovesano” di cui ho curato la prefazione che potete trovare di seguito. Una bellissima occasione per ripercorrere la storia delle nostre terre e delle persone che hanno contribuito a creare la ricchezza culturale e sociale che oggi ci circonda.
“Boves oggi è una piccola città moderna, dove quasi nulla è rimasto di quello che era fino a pochi anni fa.
Le tracce di una vita secolare, fatta di stagioni e di duro lavoro nei campi, nei boschi e nelle filande sono praticamente scomparse.
Come dappertutto, seguendo il progresso industriale e tecnologico generale, anche da noi l’ambiente rurale ha subìto una profonda trasformazione e, se in pianura questo ha significato meccanizzazione, un miglioramento delle condizioni di vita e un parziale esodo verso altre e diverse occupazioni, in montagna il fenomeno è stato molto più evidente. A partire dagli anni ’60 quasi tutti gli abitanti sono scesi a valle, i terreni ripidi sono stati rapidamente abbandonati e con essi i fabbricati esistenti. Per dare un’idea dello spopolamento basti pensare che un tempo San Giacomo era la frazione più popolosa di Boves con più di mille abitanti. Oggi invece se ne contano poche decine. In questo quadro di esodo, ai piedi della Bisalta lo spopolamento è stato pressoché totale.
Una famiglia però ha resistito, la famiglia del pastore Martini Maurizio che ha continuato con tenacia a pascolare e presidiare i terreni della Bisalta, terreni che erano di Boves, ma anche di Peveragno, fino a Limone Piemonte e Briga Alta.
Grazie a questa scelta di vita, oltre a fornire un prezioso servizio al territorio, la famiglia Martini è stata custode di tutta una serie di pratiche agricole, di conoscenze, di usi e costumi che altrimenti sarebbero andati perduti.
E oggi la moglie Vincenza raccogliendo i suoi ricordi, i suoi pensieri, raccontandoci la sua nostalgia di un passato ormai molto lontano, ci fa un prezioso regalo.
Lo fa a tutti noi, alla Comunità bovesana in primis ma non solo, a tutte le comunità ai piedi della Bisalta, a chi ha vissuto quel tempo e custodisce con lei quei ricordi, ma anche a quelle generazioni come la mia che conosce la montagna più come occasione di svago, di distensione.
La montagna che ha conosciuto Vincenza era invece luogo di lavoro, di fatica, tanta fatica, ma anche di straordinaria bellezza; quella bellezza che solo chi la frequentava e la conosceva bene, palmo a palmo, poteva cogliere in tutta la sua pienezza e che restituiva tutto alla durezza del vivere.”